Affitti, via un terzo dello stipendio. Gentili (Fimaa): dinamiche complesse

L'affitto a Verona brucia fino al 31% dello stipendio con una progressione che dal 2018 ha visto un incremento dell'erosione della busta paga che si spinge al +2,6%. Nello Stivale, però, va anche peggio, considerando che in media un inquilino destina alla spesa il 35,2% delle proprie entrate mensili, con un differenziale che continua a crescere del +3,6%.

In cinque anni il peso medio del canone sui redditi da lavoro dipendente nei capoluoghi di provincia è passato dal 31,6% alla percentuale attuale, superando il 40% in sei città, da Firenze (46,5%) a Bologna (40,2%). Lo scrive L'Arena di oggi riprendendo uno studio de il Sole 24 Ore che elabora dati Omi-Agenzia delle Entrate e statistiche fiscali delle Finanze.

 

I nuovi contratti stipulati lo scorso anno nel capoluogo scaligero sono stati 5.660, il 73,4% in canone concordato (+4,6% dal 2018), ben oltre la soglia nazionale che si ferma al 47,9%. E questa rappresenta già una prima anomalia. La formula, prevista dalla legge numero 431 del 1998, stabilisce che il costo della locazione sia fissato in base agli accordi raggiunti a livello locale tra le organizzazioni dei proprietari e dei locatari maggiormente rappresentative, con l'obiettivo di calmierare i prezzi, sebbene ci siano casi in cui la percentuale di utilizzo scaligera viene superata, come a Genova, Imperia, Matera, e in regione a Rovigo.

Il contratto a canone concordato consente all'inquilino e al proprietario dell'immobile di accedere ad una serie di agevolazioni fiscali: dalla cedolare secca alla riduzione dell'Imu. Tra i requisiti c'è anche la durata: questi ultimi prevedono la formula 3+2 a differenza dei contratti di mercato (4+4) e sotto questo punto di vista sono meno vantaggiosi per il locatario e convenienti per il proprietario, che può tornare più velocemente nella disponibilità del proprio bene. Quindi, di tutti i nuovi contratti di locazione stipulati l'anno scorso, gli affitti di mercato prevedono un canone mensile medio di 580 euro, che si mangia il 28,2% dello stipendio (+1,9% nel confronto con il 2018). I più numerosi affitti concordati, invece, si stabilizzano su un canone medio di 635 euro mensili e arrivano a polverizzare il 30,9% di uno stipendio.

La seconda anomalia locale sta proprio nel fatto che la formula, che doveva garantire prezzi calmierati, finisce per farli sbalzare in alto (in media in Italia questa tipologia consente un risparmio di 129 euro).«Difficile spiegarsi la dinamica», osserva Francesco Gentili, alla guida di Fimaa Verona, la Federazione italiana mediatori agenti d'affari, affiliata a Confcommercio. «ma è vero che nel capoluogo i prezzi di affitti di mercato e a canone concordato spesso finiscono per allinearsi e che questi ultimi spesso riguardano case ammobiliate, locati a prezzi che quindi superano del 30% il valore dell'affitto medio». I canoni dichiarati al Fisco si sono mossi oltre i rincari generati dall'inflazione, complici anche la corsa agli affitti brevi in città e la ripresa della domanda da parte degli studenti universitari nel post Covid. Da questa partita sono da escludere gli inquilini con locatori che hanno scelto il pagamento con la cedolare secca, perché l'applicazione della flat tax sospende la possibilità di aggiornare il canone mensile all'inflazione.




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